Belial coltiva, tra gli altri, il vizio della scrittura. Ha scritto i romanzi Saxophone Street Blues (2008, Las Vegas) e Making Movies (2009, Las Vegas).

lunedì 29 giugno 2009

Cinéma Belial: Un Amor de Borges (Torre 2000)

Un Amor de Borges (Argentina 2000, 93') di Javier Torre, scritto da Isabel de Estrada e Javier Torre, con Jean Pierre Noher e Inés Sastre.


Buenos Aires 1943. Il bibliotecario Jorge Luis Borges, ancora lontano dal successo letterario e già vittima dei primi sintomi della cecità, si innamora della giovane Estela Canto, attrice radiofonica, traduttrice di polizieschi e comunista militante. Ma, succube della madre possessiva e di un’opprimente timidezza, Borges si orienta a fatica al di fuori del mondo della letteratura.

Tratto dal memoriale "Borges a contraluz" di Estela Canto, Un amor de Borges è un melodramma che riesce nell’intrecciare la storia romantica con il sottotono politico e letterario. Il clima opprimente dell’argentina peronista è reso con efficacia, mentre la genesi dello straordinario racconto El Aleph (Borges lo dedicò alla Canto) fa da contrappunto all’intera vicenda.


Il film naturalmente trova il suo interesse principalmente nella rappresentazione del poeta di Buenos Aires, che funziona grazie all’ottima prova di Jean Pierre Noher. Il narratore sempre così glacialmente distante dalle sue creazioni si incarna qui in un essere penosamente umano, goffo nel camminare e nel baciare, non riesce a fare a meno di balbettare, di ripetere all’infinito i suoi “disculpame”, di abbandonare la tavola di una cena romantica per telefonare alla madre. Un completo inetto che però, quando si sdraia sul pavimento della cantina che servirà da ambientazione al racconto, e fissa il diciannovesimo scalino, è in grado di immaginare

“il popoloso mare, l’alba e la sera, le moltitudini d’America, un’argentea ragnatela al centro d’una nera piramide, un labirinto spezzato (che è la città di Londra), infiniti occhi vicini che si fissano in me come in uno specchio, tutti gli specchi del pianeta, un cortile, grappoli, neve, tabacco, vene di metallo, vapor d’acqua, convessi deserti equatoriali e ciascuno dei loro granelli d’acqua […]”.

Sembra allora davvero che l’Aleph, una sfera di pochi centimetri di diametro in grado di contenere l’intero universo, sia veramente lì, a portata di mano. Se possiamo credere in uomo di quarant’anni che non ha mai imparato ad allacciarsi le scarpe da solo, e che eppure riesce a scrivere pagine inarrivabili, avremo in qualche modo affermato il segreto di Borges, un essere impossibile, fantastico, paradossale e piacevolmente contraddittorio, esattamente come i suoi racconti migliori.

Nonostante la bravura degli attori, professionalità del regista, ed una sceneggiatura abilmente disseminata di riferimenti all’opera borgesiana, traspare una certa povertà di mezzi che troppo spesso ricorda una convenzionale produzione televisiva. Dannosa la colonna sonora originale, non di rado stucchevole. Resta una visione piacevole, almeno per gli amanti dell’opera del maestro argentino.

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