Belial coltiva, tra gli altri, il vizio della scrittura. Ha scritto i romanzi Saxophone Street Blues (2008, Las Vegas) e Making Movies (2009, Las Vegas).

martedì 19 maggio 2009

Una canzone ispirata a Babel


La cantautrice Paola Franzini ha composto una canzone ispirata al racconto Babel di Hector Luis Belial. Potete ascoltarla qui.

giovedì 14 maggio 2009

Alla Fiera Internazionale del Libro di Torino


Las Vegas Edizioni: Padiglione 1, Stand D87
Domenica 17, alle 15, tavola rotonda al Sesto Padiglione nell'area pedonale Grattacielo Lancia di via Caraglio angolo via Lancia: Andrea Malabaila presenta L'amore ci farà a pezzi (Azimut), Hector Luis Belial presenta Making Movies, Beppe Marchetti presenta Un'altra estate, Alessandro Bastasi presenta La fossa comune (Zerounoundici).

domenica 3 maggio 2009

Cinéma Belial: Synecdoche, New York (Charlie Kaufman 2008)


Un anno fa Charlie Kaufman, già sceneggiatore di Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Essere John Malkovich ed Il ladro di orchidee, presentava a Cannes il suo esordio alla regia. Il film ha un titolo – Synecdoche, New York – ma non ancora una data d’uscita in Italia. Il che, naturalmente, non ci ha dissuaso dal vederlo…


Una sinossi del film, a questo punto, si rivelerebbe utile; ma la nota complessità delle sceneggiature di Kaufman le rende assolutamente allergiche alla sintesi, e Synecdoche, New York non fa eccezione. Il confronto col video Bachelorette, diretto da Michel Gondry, sorge spontaneo, se non altro per una facile associazione di idee. Synecdoche, New York propone lo stesso straniante meccanismo di mise-en-abyme in cui uno spettacolo teatrale riproduce infinite volte il reale – e quindi se stesso. Al posto di Bjork, però, troviamo un Philip Seymour Hoffman all’apice del nerdismo e dell’ipocondria.



Hoffman veste i panni di Caden, regista di teatro frustato ed ambizioso; «a man already dead».
La sua vita va esattamente per il verso giusto: i medici gli diagnosticano malattie oscure, la moglie fugge in Germania con la figlia, la relazione extraconiugale con Hazel è quantomeno insoddisfacente. Il teatro, invece, va a gonfie vele: la sua innovativa messa in scena di Morte di un commesso viaggiatore è un successo, tanto da valergli il premio MacArthur, che gli garantisce fondi illimitati per realizzare un nuovo progetto artistico. Deciso ad utilizzare il denaro per realizzare uno spettacolo di brutale onestà e realismo, acquista un gigantesco magazzino di Manhattan: diventerà il set per una riproduzione maniacale della sua vita – e di New York. Con l’aiuto di una gigantesca troupe, nel corso di decenni di lavoro, l’intera città viene fedelmente ricostruita dentro il capannone. Sammy, un feticista che ha seguito ogni istante della vita di Caden per vent’anni, viene ingaggiato per recitare la parte del regista. E mentre i rapporti di Caden con il tempo ed il mondo esterno vanno deteriorandosi, la finzione all’interno del capannone si fa sempre più vertiginosa, i piani del reale e del rappresentato s’ingarbugliano, la realtà inizia a collassare…

Accostato agli altri film scritti da Kaufman, Synecdoche, New York conferma tutta la forza, la coerenza e la compattezza di una visione autoriale che in qualche modo trascende il ruolo tradizionale dello sceneggiatore. Possiamo certamente parlare di film di Kaufman, e non più solo di film scritti da Kaufman, senza per questo sminuire il talento visionario di registi come Jonze e Gondry. Ancora meglio, siamo in grado di definire i tratti di un personaggio-Kaufman, declinato da attori anche diversissimi tra loro, ma che fa sempre capo ad un evidente paradigma – autobiografico, siamo portati a supporre. Al di là dell’autoritratto/autopsia che Kaufman attua instancabilmente su se stesso, con un’autocoscienza creativa senza precedenti, il personaggio-Kaufman si dimostra anche uno spietato, patetico tratteggio dell’artista contemporaneo (sia regista di teatro, autore televisivo, attore cinematografico, o pittore dell’infinitamente piccolo, come la moglie di Caden); ed in un certo qual modo, dell’uomo contemporaneo.

Il problema – almeno una parte di pubblico lo considererà tale – è che molti degli elementi topici del cinema Kaufmaniano (e del personaggio-Kaufman) sono deliberatamente disturbanti. Rabbia esistenziale, solitudine, paranoia, fobie sessuali, le molte ossessioni, non ultima quella della morte. La pillola è amara, e la sua regia non cerca in alcun modo di indorarla.

In effetti la differenza tra la regia di Kaufman e quella di Jonze e Gondry non è tanto qualitativa, né quantitativa in termini di invenzioni visuali. La scrittura di Kaufman è sempre stata prepotentemente straniante, ma la sua regia sembra votata ad evitare quegli elementi giocosi, quelle invenzioni brillanti che i due registi di videoclip riuscivano ad inserire nella piena della mise-en-scene. Scrittore amaro e regista spietato, Kaufman ci propone per la prima volta il suo genio senza filtri, ma anche senza brio. Le situazioni paradossali in cui Caden si trova coinvolto non sono prive di humour (nero, assai spesso), ma qui l'autore sceglie di sopprimerne accuratamente il lato fantozziano, accentuando, con l’alienazione del personaggio, quella dello spettatore.

Le invenzioni restano numerosissime: una casa perennemente in fiamme, in cui Hazel sceglie di morire più che di vivere; il gioco di opposizioni tra il gigantismo di Caden ed i microscopici dipinti della moglie; l’inquietante – ed oscuramente rassicurante – doppelganger di Sammy; uno Zeppelin che sonda i cieli notturni di Manhattan; le imprevedibili ellissi temporali che regalano alla narrazione un ritmo improbabile.

La pellicola, tuttavia, risulta inevitabilmente monocorde, ossessivamente tetra, e quindi fatalmente destinata a pochi. E questo a dispetto delle idee vulcaniche, della produzione impeccabile, della straordinaria recitazione dei protagonisti. Kaufman riesce a disporre la totalità di questi elementi lungo un vettore che punta allo straniamento, ad un malessere esistenziale che trova nell’arte, nella medicina e nel sesso dei palliativi del tutto insufficienti.

È tanto patetico quanto inevitabile constatare che Synecdoche, New York è uno dei migliori film del 2008.

I film di Charlie Kaufman:
- Essere John Malkovich (1999; diretto da Spike Jonze)
- Human Nature (2001; diretto da Michel Gondry)
- Il ladro di orchidee (2002; diretto da Spike Jonze)
- Confessioni di una mente pericolosa (2002; diretto da George Clooney)
- Eternal Sunshine of the Spotless Mind [oscenamente localizzato in Se mi lasci ti cancello](2004; diretto da Michel Gondry)
- Synecdoche, New York (2008; diretto da Charlie Kaufman)