Belial coltiva, tra gli altri, il vizio della scrittura. Ha scritto i romanzi Saxophone Street Blues (2008, Las Vegas) e Making Movies (2009, Las Vegas).

domenica 26 aprile 2009

Racconti: Una Sera al Drive-in

Una divertita belializzazione dell'omonimo racconto di Andrea Malabaila. [Pdf]


El Niño aveva appena fatto saltare le cervella di Jason Smith ed attivato il detonatore che avrebbe inizializzato l’esplosione delle Manifatture Smith Ltd. quando mise piede nel California Snack Bar. Il killer professionista, unico cliente nel locale in chiusura, si presentò come Earl Grey, esattore fiscale. Ordinò una birra ghiacciata e quell’ultima fetta di crostata alle ciliegie che la cameriera, una rossa, avrebbe altrimenti dovuto buttare.

Joe Badalamenti aveva avuto un’autentica giornata di merda. Aveva guidato il camion per 400 fottute miglia, nella pioggia e nella polvere, chiuso in una motrice puzzolente tappezzata di pin-up ritagliate dai più sudici giornaletti d’America, eppure tenendo sotto gli occhi l’unica foto che presentasse una donna vestita, ovvero la sua ragazza, Stella Robertson. Gli mancava giusto un pugno di miglia per tornare a strizzare quella fichetta quando un lurido sbirro aveva partorito la pensata di fermarlo per eccesso di velocità. Porca troia! Badalamenti l’avrebbe preso a calci, lo stronzo, ristrutturandogli la testa col cric, e l’avrebbe fatto, perdio, se il poliziotto, vedendolo saltare giù dalla motrice, due metri di cristiano con un diavolo per capello ed una spranga d’acciaio deforme salda nella mano destra, non si fosse pisciato sotto, lasciando ripartire il camionista con un semplice ammonimento.

Stella Robertson aveva venticinque anni, un sottopagato lavoro al banco del California, ed un fidanzato che stava accumulando un notevole ritardo sull’orario fissato per l’appuntamento. Così, quando il cliente vestito da becchino si presentò con un nome britannico ed un biglietto da visita con simboli ministeriali, l’idea di vendicarsi di Joe le sembrò inevitabile quanto la morte e le tasse. Servì Grey con un sorriso che avrebbe soddisfatto le curiosità di un odontotecnico, e che non venne meno neanche quando notò la macchia di sangue sul suo colletto. Non le importò, a quel punto, della bugia di Grey a proposito di un incidente di rasatura, ma della sua mano, della rapidità e della forza con cui aveva afferrato quella di lei prima ancora che riuscisse a sfiorargli la camicia, senza lasciarla andare, nemmeno quando Joe entrò sbattendo la porta a vetri.

Mentre parcheggiava di fronte al California Snack Bar, mentre, attraverso la vetrina, gli toccò di vedere quella troia della sua donna fare la scema col primo stronzo che passava per una birra, Joe Badalamenti ricordò le parole che suo padre gli aveva ripetuto per anni, e forse per la prima volta riuscì ad afferrarne il significato profondo. «Quando vai con le donne, non dimenticare il bastone». La mano di Stella era ancora in quella dello stronzo in giacca e cravatta quando Joe tirò fuori il machete.

La nuova Buick Special quattro porte morì ancora tre volte prima che Rupert Blavatski riuscisse a parcheggiarla correttamente al drive in. Ricordò le parole che suo padre gli aveva ripetuto per tutto il giorno, prima di prestargli l’automobile fresca di concessionario: «Andare con una donna non è diverso dall’andare in macchina. Certo, se non riesci nemmeno a mettere in moto…». Il volante, ora, gli tremava sotto le mani, le lenti degli occhiali erano appannate di un sudore che il sontuoso impianto d’aria condizionata non riusciva a raffreddare. Tentò di calmarsi, ma mentre cercava di spegnere l’autoradio dalla quale Bill Haley continuava ad urlare il suo ingenuo rock ‘n’ roll gli partì un colpo di clacson che gli valse più di un’occhiata feroce dagli abitacoli vicini. Sullo schermo comparve il titolo del film: Donne-Gatto della Luna. Seduta al suo fianco, Susy Smith infilò gli occhiali 3D realizzando che il primo appuntamento con Rupert correva seriamente il rischio di essere anche l’ultimo.

Stella lanciò un grido mentre la lama di Joe calava su El Niño, ma il killer, rapido come l’inferno, riuscì a schivare il colpo, la lama penetrò nel legno del bancone, mentre El Niño castigava il camionista con un destro sulla mandibola e un calcio ben assestato in pieno stomaco; il povero diavolo non aveva ancora fatto in tempo a piegarsi in due per il dolore che già l’assassino aveva estratto la pistola puntandogliela dritta alle palle. «Ti do trenta secondi per portare il culo fuori dalla mia vista, amico». Joe ne impiegò ventisette, per far uscire la motrice dal parcheggio del California; per allora, la lingua di Stella Robertson stava già saldamente nella gola del killer.

Le lenti bicromatiche degli occhiali 3D rendevano Rupert sostanzialmente cieco, ma non occorreva guardare il film per capire che si trattava di una stronzata. Del resto Rupert comprendeva che non era un problema di diottrie o di quelle ridicole tute spaziali, il problema era il silenzio che lo divideva da Susy, Cristo santo, doveva pur dirle qualcosa, ma cosa? Il discorso sull’eccitante possibilità di colonizzare la luna non aveva riscosso l’interesse della ragazza, e del resto Rupert era arrivato a credere che a Susy non importasse poi molto della fantascienza; certo leggeva molto, ma che genere di libri? Magari aveva letto anche lei quel racconto di Checov in cui uno stalliere non riesce a confessare il suo amore alla ragazza, anzi lo dichiara ma in seguito non riesce ad agire oltre, beh forse non era veramente uno stalliere ma il succo era che a causa della sua timidezza i due vivevano vite separate ed insipide ed un bel giorno si ritrovavano vecchi ed incapaci di amarsi, e mio Dio! Che Susy avesse letto quel racconto o meno, non era certo il caso di parlargliene! Così Rupert attaccò un discorso paranoico sull’aria condizionata della Buick.

El Niño guidava una Porsche 356 American Roadster nera, e Stella non se lo fece ripetere due volte, prima di chiudere il locale e saltarci dentro. Fuggivano nell'ombra della sera d’estate, rinfrescata dai pini che scorrevano lungo la strada, entrambi immersi nei propri pensieri – lei cercava di ricordare la programmazione del drive in, lui di immaginare come si sarebbe sbarazzato della ragazza dopo averla portata a letto - così non si accorsero che Joe li aspettava al bivio, né che la motrice si era lanciata all’inseguimento della Porsche, guadagnando rapidamente terreno, nessuno dei due ci fece caso, fino a che Joe non li tamponò violentemente.

«Sai, Susy, questo sistema di aria condizionata che montano su tutte le Buick, è sviluppato separatamente dalla vettura, presso stabilimenti segreti nell’Oregon e brevettato in tutti i paesi del mondo. Ora, come mai tanta segretezza attorno a un sistema per rinfrescare l’aria? Supponiamo per un istante che non sia progettato esclusivamente per rendere la guida più confortevole. Immaginiamo le sue tubature interne, costantemente refrigerate, e sagomate in modo da costituire il perfetto habitat per una coltivazione artificiale di potenti bacilli portatori di una malattia mortale. I bacilli maturi sono espulsi automaticamente dal condizionatore, diffusi nell’abitacolo, inspirati dal conducente e dai passeggeri, cioè da noi, Susy, da me e da te. E provocano una forma incurabile di polmonite fulminante latente, che può ucciderci in un istante e del tutto casualmente tra dieci anni o diciassette secondi, così, senza che ci si possa fare assolutamente niente… se fosse così, Susy, se fossimo ormai condannati dal complotto farmaco-sovietico-automobilistico internazionale, non mi baceresti? Non mi baceresti ora? Perché potrebbe non esserci una seconda occasione». Susy era ancora immobile con l’incertezza sulla mandibola pendente quando l’esplosione della fabbrica di suo padre insanguinò l’orizzonte.

Joe sghignazzò sadicamente mentre la fuoriserie usciva di carreggiata sollevando un nuvolone di polvere. Ma El Niño non era ancora fuorigioco: il killer si aggrappò al volante e riuscì a riportare le gomme sull’asfalto, mentre Stella urlava e sanguinava dal naso. Joe allora tornò a premere sull’acceleratore, ma questa volta lo scatto della fuoriserie la salvò dallo speronamento. L’insegna al neon del drive-in si stagliava tra la vegetazione, eppure lo sguardo del killer non era più rivolto alla strada, ma fisso sul volto dell’avversario, che ora lo affiancava sulla corsia di sorpasso, tamponandolo di lato, mentre il duello raggiungeva l’apice della velocità. El Niño voleva vederlo in faccia, il becco, voleva vedere la sua paura nell’istante in cui avrebbe tirato il freno a mano.

Susy non scoppiò a piangere né si mise ad urlare, ma il fiato le si fece corto, e Rupert la sentì appena, quando gli ordinò di portarla alle Manifatture Smith. Subito. Anche da quella distanza, si capiva che le proporzioni dell’incendio erano disastrose e che le fiamme non potevano che provenire dallo stabilimento del padre di Susy. Per la prima volta Rupert vide davanti a sé quel destino manifesto di cui parlavano le antologie, sentì che una mano misteriosa gli offriva l’insperata possibilità di essere un uomo, di guidare finalmente da uomo, così trovò l'insperata forza di guardare la ragazza negli occhi e di esclamare: «Non ti preoccupare, piccola! Andrà tutto bene.» E roteando il volante col solo palmo sinistro, come se non avesse fatto altro per tutta la vita, uscì dal drive-in in retromarcia, fece fischiare le gomme nel bel mezzo della strada, e si preparò a piegare l’acceleratore a tavoletta. Ed il motore non morì, la marmitta non sbuffò, le marce entrarono una dopo l’altra, lisce come l’olio, mentre Rupert lanciava la macchina di suo padre al massimo delle prestazioni. Gli sarebbe stata sufficiente una manciata di minuti per raggiungere lo stabilimento della Smith, se il frontale con la motrice di un camion lanciata in contromano non l’avesse ammazzato sul colpo.

Dopo il freno a mano tirato all’improvviso, i tre testacoda successivi e la stridente mancia di gomma lasciata sull’asfalto, la prima immagine che Stella riuscì a distinguere davanti a sé fu la motrice di Joe. Ferma a cinquanta metri dalla Porsche di El Niño, e completamente circondata dalle fiamme. El Niño allora si spolverò la spalla destra, e rimise in moto, fermandosi per un istante di fronte alle carcasse incandescenti della motrice e della Buick bianca. «Dio mio!» disse Susy tra le lacrime, «c’erano due ragazzi, su quell’auto!».
«Non ci pensare. Sarebbero morti comunque», rispose tranquillamente El Niño, «ammazzati dall’aria condizionata». Susy si asciugò le lacrime. Lontano, ma non troppo, le sirene avevano ormai iniziato ad urlare.
«Che cosa faremo, ora?»
«Al drive-in danno Casablanca.»
«L’ho già visto… con Joe.»
«Allora battiamocela. Dicono che Tijuana sia bellissima, in questa stagione, ed è a sole duemila miglia da qui.»
L’auto imboccò l’autostrada, e fissando le linee tratteggiate perdersi nell’indistinto orizzonte notturno, ascoltando i motori e seguendo le scie evanescenti dei fanalini di coda di anime perdute sopra un fiume d’asfalto, Susy comprese che non aveva la minima idea di dove la strada la stesse portando. E per questo, per la prima volta, ringraziò Dio.

1 commento:

Andrea ha detto...

Felice di essere stato belializzato!